Marilen Lucente: Scritto sui Banchi
Un racconto tanto veritiero e impietoso da sembrare paradossale, un ritratto della scuola di oggi e una ricognizione sulle ragioni che la fanno apparire talvolta impossibile e detestabile, ma rendono ogni edificio scolastico, ogni aula, ogni banco, irriverente e irresistibile.
Quanti libri sulla scuola italiana di professori? Lodoli, Starnone, Pariani, Mastrocola, Mastronardi, Salabelle e altri che la memoria di lettore ha stratificato. Ci riprova la prof Marilena Lucente, una trentottenne barese direttrice editoriale di collana che con il suo Scritto sui banchi riesce nella difficile impresa di essere originale sulla vexata questio . In questo testo c'è qualcosa di nuovo perché l'anno scolastico della "profia" è relativo all'ultimo corso finito nel 2004. C'è stato quindi il ciclone Moratti che ha sconvolta la già fragile struttura di un ordinamento scolastico fatiscente, e non solo per l'edilizia. La rivoluzione normativa, come tutte le regole calate dall'alto, cambia nomi ma non sostanza delle cose scolastiche, e la profia di lettere alle prese con la quotidianità sinottica di moglie-madre-insegnante resiste alle nuove denominazioni prive di senso salvando il suo angolo d'autonomia in una scuola superiore di Caserta.
Non smette quindi di assegnare "temi" - e non saggi, articoli, o componimenti creativi - e li svolge in concorrenza-concomitanza con la classe. Come si fa a suscitare nei ragazzi un genuino interesse allo studio, alla lettura? È una di quelle domande che non hanno risposta. La migliore che ricordiamo è quella recepita nel saggio-narrativo di Daniel Pennac, Come un romanzo : è un mistero. Ma il prof di turno può impegnarsi con i ragazzi non sfuggendone l'incontro-scontro: cercando di entrare nel loro mondo fatto di marie de filippi e di costantini; di chat e di piercing. Osservando suo figlio la docente capisce che "imparare è davvero un atto innato, l'abbiamo dentro da sempre". Perché i muri della scuola sono inespressivi, mentre i ragazzi vorrebbero colorarli e renderli propri? Perché quel graffito "scritto sui muri" che narra di una voglia di amore per un ragazzo che si chiama Enzo non vuole significare una richiesta d'amore, ma un grido di noia per qualcosa che si sente estraneo: "La scrittura non è ancora racconto o l'espressione di sé, è poco più di un'etichetta attaccata a uno stato d'animo".
Questa voglia di fuga si appiccica addosso anche agli insegnanti che vorrebbero fuggire da quella classe che non studia: ma nessuno gli dà l'autorizzazione: reclusi dentro anche loro come i personaggi di Adriano Sofri. Il vero scontro è tra la materialità rappresentata dai soldi che tutto assicurano e invece il messaggio della poesia, che può aiutare a vedersi dentro: che può addirittura essere utile.
Vincenzo Aiello
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